Sulla scia dell’atmosfera di Halloween, non ho resistito dal chiamare in causa il buon vecchio Lovecraft!
Due parole per iniziare: HP Lovecraft (Providence, 1890-1937) è considerato uno dei maggiori scrittori di letteratura horror insieme ad Edgar Allan Poe, nonché uno dei precursori della fantascienza angloamericana.
Oggi in particolare vi parlo di uno dei suoi più famosi racconti, intitolato “Il Richiamo di Cthulhu” (Titolo originale: The Call of Cthulhu – prima pubblicazione: 1928). Tema ricorrente negli scritti di Lovecraft è l’origine del cosmo e, in questo racconto, l’autore narra del rinvenimento dell’antica città di R’lyeh,- acropoli dalla geometria bizzarra un tempo abitata da un’altrettanto antica civiltà – sotto i cui resti il sacerdote Cthulhu, una creatura mostruosa, giace dormiente ma comunque in grado di comunicare con la mente degli uomini.
Il racconto esordisce con una frase epica che suona un po’ come una preannunciata sentenza:
“La cosa più misericordiosa del mondo, ritengo, è l’incapacità della mente umana di correlare tutto quello che essa contiene. Ma giorno verrà in cui la composizione di un unico quadro di coscienze non connesse l’una all’altra spalancherà prospettive della realtà, e della nostra terrorizzante collocazione in essa, talmente spaventose da farci precipitare nella follia a causa di quella rivelazione, oppure da spingerci a rifuggire l’illuminazione di quella conoscenza nella pace e nella sicurezza di una nuova era oscura.”
Ciò che mi affascina dei racconti di Lovecraft sono le ambientazioni horror-fantascientifiche-mitologiche e il risvolto emozionale delle vicende sull’essere umano. Ne “Il Richiamo di Cthulhu”, l’uomo si ritrova a confrontarsi con gli albori della vita sul pianeta scoprendo che la faccenda non è affatto come si era sempre pensato. Lovecraft mina le basi delle (poche) certezze ponendo fisicamente nella terra Cthulhu, un’entità antica e dormiente, gigantesca e terrificante, in grado di manipolare le menti più predisposte nell’attesa del momento favorevole per risvegliarsi. Chi è soggiogato o chi non sa, può vivere forse tranquillo. Chi sa, non riesce e non può sopravvivere.
“Ciò che è emerso può sprofondare, e ciò che è sprofondato può riemergere. L’orrido attende e sogna nella profondità, mentre la decadenza dilaga sulle brulicanti città dell’uomo”.
Lo stile dello scrittore è forse ciò che più mi ha conquistata: la ricchezza di aggettivi, le vivide descrizioni mai eccessive eppure così efficaci, le lunghe frasi che a tratti sembrano poesia. Una grande capacità narrativa e rappresentativa e una fantasia in grado di spaziare pur restando ancorata a quelli che lo psicoanalista Jung (Svizzera, 1875-1961) definiva gli archetipi dell’inconscio collettivo – ricordiamoci il mito e la favola, i sogni, le visioni, gli incubi -. Lovecraft aggancia i simboli per poi scuoterli, esaltandoli con le scenografie imponenti di materiale alieno ma richiamandoli anche con elementi terrestri come il mare, i monti, il cielo, il fuoco, riconoscibili sia dagli uomini di cultura sia da quelli non acculturati.
Il tempo può essere custode di antichi demoni dunque e anche lo spazio può tradire l’occhio mostrandosi differente. A proposito dell’approdo dei marinai presso le rovine che custodiscono l’entrata alla caverna di Cthulhu, Lovecraft scrive:
“La geometria di quel luogo era tutta sbagliata. ”
E ancora:
“Le regole della materia e della prospettiva sembravano avere perduto significato.”
La mia mente è corsa subito a uno dei miei artisti preferiti, M. C. Escher, (Olanda, 1898-1972), contemporaneo di Lovecraft, di cui riporto in calce l’opera intitolata “Casa di Scale”. Escher, incisore e grafico, è noto per le composizioni in grado di sfidare i limiti della geometria e delle dimensioni, dando luogo a quelle tipiche immagini definite “compenetrazione di più mondi.”
Ci sarebbe tanto altro da dire, ma a chi ha avuto l’ardire di giungere sin qui ho già portato via molto tempo.
Ma se vi fosse venuta voglia di leggere o rileggere il racconto, vi consiglio di farlo ascoltando una delle tante band heavy metal che hanno musicalmente celebrato lo scrittore. Mi riferisco ai Metallica e al brano interamente strumentale che prende il titolo proprio dal racconto: The Call of Ktulu, tratto dall’album Ride the Lightning del 1984. Da apprezzare L’arpeggio di chitarra che apre il pezzo e che caratterizza la linea melodica per l’intera durata della canzone.
Concludo con uno dei paragrafi finali del racconto e con una delle tante domande che mi frullano nella testa:
“So troppo, e il culto vive ancora. E anche Cthulhu vive ancora, credo, in quell’abisso di pietra che lo ha protetto fin da quando il sole era giovane.”
Vivrebbe il mostro senza il legame con la mente degli uomini?
Lo ritengo un quesito molto attuale.
Grazie in anticipo per la lettura e i commenti. Arrivederci al prossimo articolo!
Morgane
Raffigurazione di Cthuhu
Escher, Casa di Scale
Metallica: album Ride The Lightning